lunedì 30 gennaio 2012

IL POTERE DEL TRAINING AUTOGENO

I I ritmi di vita ai quali il nostro organismo è sottoposto, a volte sono davvero estenuanti; chi di noi non ha mai sperimentato quella stanchezza mentale e fisica che ci fa sentire fuori gioco, indeboliti e privi di energie?
Una buona regola certo sarebbe quella di modificare  le nostre abitudini di vita: alimentazione corretta, ritmi meno frenetici, più tempo libero per prenderci cura di noi ma... purtroppo non sempre questi cambiamenti sono possibili o per lo meno, non lo sono nell’immediato e richiedono tempo per essere messi in pratica ed acquisiti come routine quotidiana.
Allora cosa fare per recuperare quel benessere,  quell’equilibrio e quella tranquillità che sono in grado di fare la differenza nelle nostre vite?
Certamente ci sono diversi  metodi che possono essere utilizzati con successo, e tra questi il Training Autogeno (TA) presenta sicuramente il miglior rapporto “costi-benefici” in termini di tempo  necessario e risultati ottenuti.
Il TA è una tecnica completa, veloce, semplice da apprendere e praticabile ovunque che rappresenta molto più di un semplice rilassamento:
·      IL TA TI INSEGNA A RICARICARTI DI ENERGIA QUANDO E DOVE VUOI: A COMANDO
·      CON IL TA  IMPARI A RILASSARE SIA IL CORPO SIA LA MENTE
·      IL TA TI INSEGNA A PERCEPIRE E A GODERE DELLE SENSAZIONI PIACEVOLI CHE IL TUO CORPO SA REGALARTI, CONTRASTANDO LE REAZIONI FISIOLOGICHE NEGATIVE DERIVANTI DAL DISTRESS, EVITANDO CHE SE NE ACCUMULINO GLI EFFETTI DANNOSI
·      IL TA TI ADDESTRA A RECUPERARE L’EQUILIBRIO ENERGETICO E FUNZIONALE PER RIPARTIRE CON MAGGIORE ENERGIA E CONSAPEVOLEZZA
·      IL TA TI INSEGNA AD ESSERE PRESENTE “NEL MOMENTO”, ACQUISENDO CONSAPEVOLEZZA, EQUILIBRIO E SERENITA

Il TA è costituito da una sequenza di esercizi che, al termine di un apprendimento graduale,  permetteranno di raggiungere velocemente ed autonomamente una condizione di profondo e riequilibrante rilassamento, salutare per il corpo e per la mente.
Tutto questo è reso possibile quando impariamo a posare lo sguardo all’interno di noi invece che all’esterno, ascoltando il nostro corpo, i suoi movimenti, i suoi suoni.
Questa attitudine all’osservazione silenziosa e non giudicante viene anche definita ATTENZIONE PASSIVA, laddove per passiva si intende una condizione di non-forzatura, ma di attenzione diffusa e rilassata, come se dovessimo lasciare che  sial al calma a venire a noi e non noi a cercarla affannosamente.
Ci è stato insegnato ad essere sempre presenti, attivi, attenti e a reagire prontamente ad ogni stimolo esterno; tuttavia questa iperattività, nel lungo termine, può indurre una condizione di squilibrio nel funzionamento del nostro sistema nervoso, squilibrio che si può manifestare con l’insorgere di disturbi psicosomatici quali difficoltà digestive, bruciore gastrico, ansia, tachicardia, problemi della pelle e molte altre condizioni di disagio.
Il TA ci permette di modificare completamente questo schema e di capovolgerlo: non pilotiamo più la macchina, ma ci lasciamo guidare attraverso l’esperienza corporea  per vedere cosa accade… ed è proprio questo totale cambiamento di prospettiva ad esercitare il benefico effetto di ristabilire l’equilibrio energetico e psico-somatico.
Ma chi può praticare il TA? Potenzialmente chiunque può accedere a questa fantastica tecnica, con alcune eccezioni relative ai seguenti casi:  problematiche cardiache gravi e in corso (soggetti che hanno subito da pochi mesi interventi cardiaci o infarti), molto valido invece al ripristino delle stesse funzioni dopo eventi di questo tipo, dopo la riabilitazione; diabete avanzato e sindromi psichiatriche gravi.
E’ invece indicato per recuperare energie sane e vitali  nel caso vi sentiate stanchi e spossati e la vostra giornata ancora non è finita; per recuperare equilibrio e lucidità in situazioni a forte carico emozionale o in cui ci si sente sopraffatti dalle emozioni, per recuperare concentrazione, per aiutare e risolvere disfunzioni psicosomatiche legate ad un disequilibrio del sistema nervoso autonomino (cefalea, bruxismo, psoriasi, disturbi gastro-intestinali ecc…), per aumentare la creatività in quanto in grado di migliorare la comunicazione tra i due emisferi cerebrali.

A cura della Dott.ssa Annalisa Barbier, PhD


Per maggiori informazioni potete scrivermi ai seguenti indirizzi di posta elettronica:

mercoledì 25 gennaio 2012

LE RADICI DELL'ENTANGLEMENT

Le radici dellentanglement

In realtà la meccanica quantistica è fortemente controintuitiva se confrontata con la maggior parte delle esperienze pratiche quotidiane. Ma questo è vero solo se tali esperienze sono limitate a livelli fisici macroscopici: volendo escludere a priori tutti le manifestazioni cosiddette “paranormali” (come ad esempio la telepatia) ci sono infatti molti eventi fisici e sperimentali che dimostrano l’esistenza di fenomeni non locali.
Il fenomeno dell’Entanglement, parola inglese traducibile con il termine di “intreccio-non-separabile” (ma che sta anche a significare “situazione imbarazzante”) è un fenomeno quantistico in cui lo stato quantico di due oggetti risulta strettamente dipendente l’uno dall’altro, anche se questi oggetti sono separati spazialmente.
L’esempio classico usato per descrivere l’Entanglement quantistico è un sistema costituito da due particelle (tipicamente due elettroni appartenenti allo strato più esterno di un atomo o di una molecola) che hanno la caratteristica di mantenere sempre i loro spin in direzione opposta. In parole povere si osserva che una stessa zona attorno al nucleo di un atomo può contenere al massimo due elettroni e che per di più le due particelle si devono muovere in modo perfettamente complementare per poter condividere quella zona. Questa complementarietà è indicata da quello che viene chiamato con il termine inglese spin assimilabile al movimento di rotazione di una trottola, la quale può girare in un senso (spin-su) e in senso opposto (spin-giù). Per tornare all’esempio degli elettroni, è come dire che due elettroni non possono condividere la stessa zona di influenza rispetto al nucleo se non mantengono costantemente uno lo spin-su e l’altro lo spin-giù.
Il fenomeno descritto è a dir poco bizzarro, tanto che lo stesso Einstein lo etichettò come una sinistra azione a distanza e considerò tutta la teoria quantistica “incompleta” in quanto portava a fenomeni di non località.
Per capire meglio le perplessità manifestate da Einstein occorre ricordare che quando si entra nel campo quantistico le misurazioni effettuabili sulle particelle sono di tipo statistico o “probabilistico”. Non esiste infatti la reale possibilità di individuare una singola particella in una ben definita porzione di spazio ma solamente la probabilità che la particella si trovi in quella porzione e quindi ci si trova nell’impossibilità di predire lo stato della particella. Lo stesso vale per lo spin, che quindi può essere misurato (su o giù) ma non può essere fissato ad un valore determinato in un tempo determinato.
Dato che, in presenza di entanglement, qualunque sia il valore dello spin assunto da una delle due particelle, il corrispondente valore assunto dall’altra particella è sicuramente opposto al primo, si arriva alla conclusione che tale statistica si applica al “sistema” composto dalle due particelle e non alle singole particelle.
Un’implicazione non banale di quanto detto è che se due particelle entangledvenissero separate (non importa se di pochi micron o di anni luce) il tempo di reazione per mantenere in opposizione lo spin della particella entangled sarebbe sempre zero e quindi la velocità di trasferimento dell’informazione (cioè lo spazio percorso diviso il tempo necessario a percorrerlo) sarebbe infinita.
Einstein, che aveva scoperto il limite invalicabile della velocità della luce per tutti gli oggetti dotati di massa, non poteva quindi considerare la nuova teoria quantistica molto “simpatica”. Infatti, per accettare l’entanglement quantistico, è necessario ipotizzare una situazione al di fuori dello spazio-tempo classico (quello che viene detto appunto fenomeno di non località) in cui tutto è istantaneo e non collocato nello spazio.
Nel 1935 Einstein, insieme a Podolsky e a costruirono il cosiddettoparadosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR) cioè un esperimento ideale che si proponeva di evidenziare l’incompletezza (se non addirittura l’inconsistenza) della teoria quantistica.
L’esperimento è in realtà solo una congettura ma porta alla dimostrazione logica che una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può modificare istantaneamente il risultato della misurazione eseguita su un’altra parte dello stesso sistema quantistico.
Dato che tale effetto è indipendente dalla distanza che separa le due parti, fu chiamato azione istantanea a distanza ed è chiaramente incompatibile con la teoria della Relatività ristretta di Einstein.
Per inciso, è interessante osservare che, sebbene la teoria quantistica crei dei paradossi temporali e spaziali, tuttavia mantiene il principio di causalità… e proprio per questo è difficile da comprendere per la logica comune. Noi siamo fortemente condizionati nel pensare che un qualsiasi effetto possa essere osservato solo dopo (quindi nel tempo) l’evento che lo causa, mentre nella teoria quantistica è possibile osservare un effetto prima o contemporaneamente alla sua causa, pur mantenendo intatto il collegamento causa-effetto.
In realtà la meccanica quantistica è fortemente controintuitiva se confrontata con la maggior parte delle esperienze pratiche quotidiane. Ma questo è vero solo se tali esperienze sono limitate a livelli fisici macroscopici: volendo escludere a priori tutti le manifestazioni cosiddette “paranormali” (come ad esempio la telepatia) ci sono infatti molti eventi fisici e sperimentali che dimostrano l’esistenza di fenomeni non locali.
Anche il principio di indeterminazione di Heisenberg, che sancisce che non è possibile misurare con la stessa precisione la posizione e la quantità di moto di una particella quantistica, può essere considerato un fenomeno correlato alla non località.
Inizialmente il principio di indeterminazione fu spiegato dallo stesso Heisenberg sostenendo che l’atto di misurazione della posizione disturbava inevitabilmente la sua quantità di moto, in quanto era necessario interagire energeticamente con la particella da misurare. In realtà si è scoperto in seguito che il disturbo dovuto alla misurazione non gioca nessun ruolo, in quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in un sistema e la quantità di moto viene misurata in una copia identica (ma distinta) del primo sistema. Si potrebbe giungere alla conclusione che in meccanica quantistica le particelle non possiedono una ben definita coppia posizione e momento in quanto non sono in realtà posizionate nello spazio-tempo.
E’ stato anche enunciato un teorema che sancisce l’impossibilità di trasmettere, tramite la proprietà dell’entanglement, informazioni a velocità superiori a quelle della luce, e che anzi non è possibile sfruttare questa proprietà per nessun tipo di trasmissione, proprio perché è impossibile determinare l’esito di una misura tramite l’atto del misurare. Infatti lo spin dell’elettrone, come tutte le grandezze quantistiche è di tipo probabilistico il che vuol dire che può essere misurato ma non predeterminato.
Nonostante tutto l’entanglement è alla base delle tecnologie emergenti deicomputer quantistici e della crittografia quantistica, e i recenti esperimenti relativi al cosiddetto teletrasporto quantistico fanno pensare che l’entanglement sia un fattore importantissimo per questo Universo.
Il fenomeno dell’entanglement sembra fortemente correlato al concetto diantinomia. In altri termini un sistema di due elettroni entangled è molto simile al “paradosso del mentitore”: infatti è come se lo stato quantico di uno dei due elettroni fosse perennemente la negazione dello stato quantico del suo entangled, senza peraltro modificare neanche un po’ la libertà di espressione di quello.
La coppia di due elettroni entangled si comporta quindi come un “mentitore” che, asserendo “io sto mentendo”, non permette di stabilire se sta dicendo la verità oppure no (1) e quindi rimane libero di dire ciò che gli pare e piace. E’ importante a tal proposito sottolineare che la causalità (che permette tra l’altro di distinguere la causa dall’effetto) rimane salva e proprio tale causalità genera il loop infinito necessario per determinare la verità senza peraltro raggiungerla mai.
Probabilmente la scoperta dell’entanglement è la migliore dimostrazione dellalibertà intrinseca del nostro Universo. Tale libertà intrinseca non può che scaturire da una situazione iniziale antinomica che, pur confermando la causalità, non limita la libertà di interpretazione della verità dando così origine a quel loop perpetuo che chiamiamo scorrere del tempo.
Ma è possibile ipotizzare una simile situazione iniziale?
Provate a scrivere su un foglietto di carta la seguente frase:
SUL RETRO DI QUESTO FOGLIO E’ SCRITTA UNA FRASE FALSA
Adesso girate il foglietto e sull’altra facciata scrivete quest’altra frase:
SUL RETRO DI QUESTO FOGLIO E’ SCRITTA UNA FRASE VERA
Avete appena costruito un’antinomia molto semplice.
Infatti se cercate di capire se il foglietto dice la verità o una menzogna interpretando il significato delle due frasi vi troverete nella oggettività di non poter dire nulla pur rendendovi conto che è necessario girare il foglietto tra le mani per dire qualcosa. Eppure le frasi sono inequivocabilmente chiare e comprensibili.
Qualcuno obietterà subito che qualsiasi linguaggio non può rappresentare se stesso e se la caverà brillantemente strappando il foglietto ma il fascino dell’antinomia rimarrà scritto nei pezzetti di carta.
Quasi tutti i grandi pensatori si sono imbattuti nel problema posto dalle antinomie e hanno cercato di proporre soluzioni soddisfacenti.
Secondo Aristotele (384 – 322 a.C.) si sta usando una frase insolubile che non dice letteralmente nulla e pertanto la proposizione antinomica (o meglio, la pseudoproposizione) deve essere semplicemente cassata. Ma evidentemente questa soluzione è stata considerata troppo semplicistica già da Guglielmo di Occam (1285-1350) il quale introdusse una distinzione tra linguaggio e metalinguaggio in modo da poter analizzare le frasi cosiddette autoreferenziali a un livello di astrazione superiore a quello del linguaggio. Più interessante ancora fu la proposta di soluzione del suo allievo Giovanni Buridano (1300 – 1358), che intuì che un’affermazione non è vera o falsa in assoluto, ma solo relativamente ad un certo momento storico: mentre non è possibile che una frase possa essere vera e falsa contemporaneamente, essa può esserlo in tempi diversi.
Ma cosa succederebbe se il Silenzio fosse l’unica affermazione di se stesso?
Qualsiasi suono o parola (anche pronunciata mentalmente) da un lato lo romperebbe e dall’altro lo farebbe percepire (alla fine delle parole). Viceversa, se nessuno parlasse mai, probabilmente non ci sarebbe nessuno … tranne il Silenzio stesso.
Quello che sto per dire è che è ipotizzabile una Antinomia primaria molto simile al silenzio assoluto, che si automanifesta (senza fare uso di alcun linguaggio) al di fuori dello spazio-tempo e che anzi è la radice dello stesso spazio-tempo.
Matematicamente parlando si potrebbe scrivere come:
“ciò che non si vede” implica l’intuizione dell’”insieme vuoto”
E’ qui che entra in gioco la mia “Teoria della Contrazione Universale” (TCU), la quale si basa pro-prio su questa Antinomia Originaria che è implicita nel Nulla inteso come Contenitore del Tutto.
Si potrebbe dire che il Nulla stesso è antinomico e quindi permette l’autoreferenzialità contemporanea e non-locale di tutto e del contrario di tutto.
Dall’ipotizzata Antinomia Originaria è possibile quindi derivare la natura libera intrinseca dell’Universo (dimostrata nel principio di indeterminazione di Heisenberg) dalla quale, a sua volta, deriva la reale libertà degli esseri.
Grazie a tale Antinomia infatti:
o è permesso proporre frasi insolubili senza dover essere cassati dai seguaci di Aristotele;
o è possibile descrivere con un linguaggio ciò che è al di sopra di ogni linguaggio (cioè comprendere aspetti sempre più vasti della Realtà) come proposto da Guglielmo di Occam;
o è possibile intuire il non-tempo e il non-spazio analizzando in tempi successivi gli aspetti antinomici della Verità, come nella soluzione di Buridano.
La TCU ipotizza che l’Antinomia Originaria sia l’automanifestazione del Nulla, così come il Silenzio si autorappresenta proprio perché non c’è nulla e nessuno che “fa rumore”. In altri termini ciò che non c’è, proprio perché non c’è, si sta manifestando, e così facendo nega contemporaneamente la propria manifestazione rimanendo ciò che non c’è.
In principio non si può ancora parlare né di spazio né di tempo ma solamente di “modi” e di “volte” in cui la manifestazione avviene.
Proprio il “modo” di autorappresentarsi darà luogo allo spazio inteso come dimensioni e simmetria (2) mentre le “volte” in cui si verifica la rappresentazione secondo quel “modo” darà luogo alla sensazione discorrere del tempo.
E’ facilmente intuibile che se qualcosa si manifesta lo deve fare almeno in un modo e almeno una volta. Quindi lo spazio e il tempo devono essere intimamente connessi. Nel senso che non può esistere uno spazio senza un tempo in cui manifestarsi, né un tempo senza uno spazio in cui scorrere. Inoltre, mentre uno stesso modo può essere ripetuto un numero infinito di volte, le volte non possono che ripetersi aumentando continuamente, equesto spiega perché il tempo sembra scorrere solo in avanti.
Meno intuitivo ma altrettanto importante è la considerazione seguente: un particolare modo di manifestarsi, se si manifesta una volta, allora si manifesta infinite volte. Infatti la manifestazione di tipo antinomico, essendo fuori dal tempo e dallo spazio, è contemporaneamente vera e falsa, il che equivale a ripetere infinite volte il ciclo della manifestazione, che implica la non-manifestazione, che implica la manifestazione, che implica la non-manifestazione… e così via all’infinito. Questo spiega perché sembra che il tempo debba scorrere senza fine.
In questo contesto a-temporale (e di conseguenza non-spaziale) tutte le istanze delle manifestazioni antinomiche sono indistinguibili e indipendenti fra di loro. Si potrebbe arditamente dire che l’unico entanglement possibile in un contesto simile è fra l’essere e il non-essere (manifestazione); in quanto l’uno stato esclude certamente l’altro e la contemporaneità equivale a una probabilità esatta del 50% di trovarsi in uno stato piuttosto che nel suo opposto. In altri termini si potrebbe affermare che ogni punto è in “entanglement originario” con il punto vuoto che esso stesso rappresenta. Da un punto di vista matematico si potrebbe anche parlare di una serie di infiniti termini convergente in un valore finito che è l’enunciazione stessa dell’antinomia.
Fino ad ora (ancora il tempo e lo spazio sono entità non-nate) ogni punto vuoto di contenuti può solo affermare di essere così… infinite volte: potremmo dire che può solo dire “io sono” senza poter specificare altri attributi di se stesso.
Adesso è necessario fare un salto di astrazione ancora più ardito: l’affermazione “io sono” non solo non ha attributi, ma è anche indipendente, quindi è valida per infiniti punti. Se prendiamo l’insieme dei punti che in modo indipendente si stanno manifestando con la stessa simmetria e numero di dimensioni otteniamo un sistema che può manifestare una o più interazioni fra gli entanglement originari dei vari punti. Ma perché ciò possa avvenire è necessario ipotizzare un modo “sincronico” di manifestarsi. In altre parole è necessario che, statisticamente parlando, tutti i punti dell’insieme appena ipotizzato si manifestino rinunciando alla propria libertà assoluta dovuta all’entanglement originario riducendolo a una vibrazione più grezza “commensurabile” con quella di tutti gli altri.
Nella Teoria della Contrazione Universale il nostro Universo è definito proprio come un insieme i punti che si manifestano sincronicamente con identiche modalità di simmetria e dimensione. E proprio per questa caratteristica le relazioni più intime fra i vari punti generano il fenomeno di entanglement quantistico che oggi noi verifichiamo sperimentalmente.
Per chi fosse incuriosito dal motivo per cui ho dato alla mia teoria il nome di Contrazione Universale, voglio specificare che il concetto di contrazione cui mi riferisco è una metafora con la quale cerco di sintetizzare la necessità di eseguire un certo numero di passi logici (in un certo tempo) per rendersi conto della natura intrinseca di un’antinomia. Infatti, sebbene il processo di analisi di un’antinomia porti a un susseguirsi infinito di proposizioni che si autonegano, è possibile percepire mentalmente un collasso di tale processo in una conclusione intuitiva che non risolve l’antinomia ma che nel contempo non la cassa (in definitiva l’antinomia rimane sempre enunciabile). In altre parole, è come se l’entanglement originario, uniformemente sparso in un contesto non spazio-temporale, si condensasse (da cui il termine contrazione) nello spazio-tempo dell’Universo e l’entanglement quantistico rappresentasse la sua contrazione percepibile.
In particolare, il processo sincronico che da luogo alla possibilità di interazione fra i vari punti che si contraggono con la stessa modalità (3 dimensioni a simmetria sferica per il nostro Universo) da luogo alla nascita contestuale dello spazio e del tempo.
Per la TCU, infatti, lo spazio e il tempo non solo sono intrecciati indissolubilmente fra di loro, ma assumono una qualsiasi valenza solo in virtù dell’interazione di due o più punti sincronici, che viene percepita come distanza temporale e spaziale fra di essi.
Non possedendo qualità intrinseche, spazio e tempo sono quindi percepibili/misurabili solamente nei punti che sono in interazione sincronica, cioè dipendono dall’osservatore e dalle sue interazioni con il contesto. Ciò concorda perfettamente con la teoria della relatività e ne potrebbe addirittura fornire una forte motivazione logica.
In conclusione, se definissimo con il termine intelligenza il processo che porta i singoli punti di entanglement originario a costituire l’insieme di punti sincronici che abbiamo definito Universo, la Teoria della Contrazione Universale potrebbe dare una nuova e stimolante visione dell’entanglement quantistico come “principio informatore” dell’Intelligenza Universale.
Note
1) Se, infatti, dicesse la verità allora la frase “io sto mentendo” non sarebbe una menzogna e quindi non sarebbe vero che lui sta mentendo… ma in tal caso la frase “io sto mentendo” sarebbe falsa e quindi essa stessa una vera menzogna… e così via.
2) Nel caso del nostro Universo si può parlare di 3 dimensioni con simmetria sferica da cui deriva la forma sferica di propagazione della informazioni e la tendenza dei corpi celesti e delle particelle a-tomiche ad assumere forme sferiche.
Di Renato Pagliaro.

martedì 24 gennaio 2012

10 ALZHEIMER’S PREVENTION STEPS

Test your cognitive function now - if it is below par it is very important to test your homcoysteine level either via your GP, or with a home test kit (test your homocysteine level) and act accordingly.

Keep your homocysteine level low, ideally below 7 and certainly below 9, by supplementing homocysteine lowering B vitamins, eating fish, milk and eggs for B12, greens, beans, lentils, nuts and seeds for folic acid, B6 and zinc. If your homocysteine level is high you’ll need take a homocysteine friendly supplement. The evidencefor this preventing both memory-loss and brain shrinkage is very strong. 
Take a daily multivitamin and mineral to help keep your homocysteine low, providing, at least, 10mcg of B12, 200mcg of folic acid, 20mg of B6, plus 10mg of zinc.
Up your intake of antioxidants by eating lots of fruit, vegetables, herbs and spices. Go for the strong colours such as blackberries, blueberries, broccoli, butternut squash, carrots, cinnamon, kale, mustard, red cabbage, sweet potato, tomatoes and turmeric.
Ensure essential fats by eating oily fish such as salmon, sardines, herrings, kippers, trout and mackerel three times a week. Walnuts, flax and chia seeds are also high in omega 3.
Stay away from sugar and refined foods and limit your intake of carbohydrates. High blood sugar levels damage the brain and body. Eat a low GL (glycemic load) diet.
Stop smoking because this raises homocysteine and the oxidants in cigarettes damage the brain and body.
Limit alcohol and coffee. Coffee, more than tea, raises homocysteine so limit your intake to one a day. Alcohol, in excess, raises homocysteine. Stick to a unit of alcohol a day.
Keep your stress level in check. High stress levels raise homocysteine and cortisol, which damages the brain.
Keep physically, socially and mentally active. Take some exercise every day, preferably outdoors – we need exposure to the sun to make vitamin D. Keep in touch with friends and family. Social interaction keeps you sharp. Keep mentally active by learning new things and challenging your mind. If you don’t use it you lose it.
The Ten Alzheimer's Prevention Steps are adapted from 'The Alzheimer’s Prevention Plan'. All the evidence for these recommendations, and detailed practical advice can be found within this book.


From: "FOOD FOR THE BRAIN"

giovedì 19 gennaio 2012

L'AUTO-SABOTAGGIO DEI PENSIERI NEGATIVI

Volevo scrivere un articolo che rispecchiasse un po’ gli interessi e la curiosità di tutti i “non addetti ai lavori” che seguono il mio blog e la mia pagina su Facebook: così ho domandato quale era, tra una serie di argomenti papabili, quello che avrebbe suscitato il maggior interesse. Le risposte ricevute hanno orientato la scelta su “La vita segreta dei pensieri” – negativi – aggiungo, poiché in effetti i pensieri positivi ci piacciono e ci fanno stare bene e, tutto sommato, della loro “vita segreta” ci interessa poco rispetto invece a quella dei pensieri che ci fanno stare male, che ci disturbano, e che spesso finiscono con il sabotare il nostro stesso benessere. 
Ma cosa sono i “pensieri negativi”? Quali sono? E soprattutto, perché nonostante siano così dannosi continuano a far parte delle nostre giornate (e anche delle notti …) mettendo a repentaglio la nostra pace e la nostra fiducia in noi stessi?
Ecco una serie di atteggiamenti cognitivi dai quali sorgono i pensieri negativi e molta parte di quel dialogo interiore che ci fa sentire inadeguati, ci impedisce di agire serenamente e può provocare disagio e malessere:

 NEGATIVA OPINIONE DI SE E SENSO DI COLPA
Considerare se stessi come meno validi, meno in gamba, meno capaci, meno divertenti, attraenti o piacevoli della maggior parte delle persone con cui ci si confronta. Inoltre, frequentemente le persone affette da depressione tendono a focalizzare l’attenzione – anche nel ricordare – su episodi in cui si sono sentiti non accettati, non apprezzati o non all’altezza e su persone che sono di maggior successo di loro. Nel tempo, questa modalità di pensiero o se vogliamo, questa attenzione focalizzata, porta a considerarsi privi di valore e di attrattive fino a concludere non soltanto di meritare malessere e punizioni ma anche che gli altri starebbero certamente meglio senza di noi. Pensieri rappresentativi di tale atteggiamento cognitivo sono: “non sarò mai bravo come…”, “non valgo niente”, “sono un fallimento”, “faccio solo danni”, ecc ecc…
 AUTOCRITICA, AUTOCONDANNA 
Caratterizzata dalla tendenza a focalizzare l’attenzione sui propri comportamenti sbagliati e sui propri errori sopravvalutandone il valore e l’importanza, o dalla tendenza a svalutare le proprie azioni pensando sempre che si poteva far di meglio o di più senza, dare peso a ciò che invece è stato fatto bene. Questo atteggiamento porta con sé una conseguenza non meno nociva: l’abitudine di considerare come immeritati gli eventi felici e i successi realizzati. Questi atteggiamenti si associano frequentemente ad aspettative eccessive ed irrealistiche sulla bontà e perfezione delle proprie prestazioni, creando così un circolo vizioso in cui le aspettative eccessive per loro natura non possono 
Il paradigma semplificato di questo atteggiamento è: 
I MIEI FALLIMENTI DIPENDONO SOLO DA ME/I MIEI SUCCESSI SONO SOLO FRUTTO DI UN CASO FORTUITO
Ne sono un chiaro esempio pensieri come: "Dovevo fare meglio”, “non ho fatto abbastanza”, “non sono stato all’altezza”, “è colpa mia” oppure “non merito questo successo”, “non è merito mio” ecc ecc.
 INTERPRETAZIONE NEGATIVA DEGLI EVENTI
La tendenza a generalizzare gli eventi spiacevoli pensando che tutto lo sia, che tutto vada male e di essere vittime di un destino avverso; un pensiero tipico è "Mi va tutto storto". O anche assumere un atteggiamento disfattista e catastrofico in seguito a piccoli contrattempi o aspettative disattese.
 ASPETTATIVE NEGATIVE
Si tratta della tendenza - spesso non del tutto realistica - a considerare il futuro come foriero di disgrazie ed eventi spiacevoli che la persona certamente non sarà in grado di affrontare. Sono pensieri che portano a considerare i sentimenti spiacevoli e le difficoltà della vita come insuperabili e destinate a perpetrarsi per sempre. L'individuo così rischia di rassegnarsi all'infelicità, considerandola inevitabile e tenderà quindi a ripetersi che è inutile cercare di fare andare meglio le cose (passività appresa).
 SOPRAVVALUTAZIONE DELLE DIFFICOLTA’/SOTTOVALUTAZIONE DELLE PROPRIE CAPACITA’
Questa forma di distorsione cognitiva appartiene tipicamente alle persone ansiose ma è frequente anche nelle persone affette da depressione; l’individuo tende a sopravvalutare le difficoltà, contemporaneamente sottovalutando le proprie capacità di farvi fronte, di agire e di influenzare gli eventi. Ne consegue la sensazione schiacciante di non riuscire a far fronte agli impegni, alle difficoltà, al futuro. Tali preoccupazioni si possono accompagnare, in casi particolarmente intensi, a sensazioni di nausea, tachicardia, mal di testa e vertigini.

Questi atteggiamenti cognitivi costituiscono, nella loro espressione completa, l’assetto cognitivo degli individui affetti da depressione; in essi prevale infatti la tendenza a valutare negativamente se stessi, gli eventi e il futuro.
Ma tali pensieri possono anche – sebbene in maniera parziale e discontinua – costituire il nostro comune modo di “sentire” e di considerare noi stessi e gli eventi, soprattutto in periodi di tensione, disagio o stanchezza mentale o in condizioni di stress psico-fisico, peggiorando il nostro stato d’animo e impedendoci così di riemergere da un momento difficile e di darci da fare in maniera costruttiva.

E’ PERCIÒ MOLTO IMPORTANTE IMPARARE A RICONOSCERLI
E A RICONOSCERE IL LORO EFFETTO DISTRUTTIVO!


Ma prima di presentare alcune semplici tecniche, è necessario un piccolo preambolo, che è poi la risposta alla domanda iniziale: 
Perché, nonostante siano tanto dannosi e dolorosi, tali pensieri continuano a presentarsi?

Il primo passo da fare, per quanto scontato possa sembrare, è molto semplice ma fondamentale:
1. RICONOSCERE I PENSIERI NEGATIVI CHE INFLUENZANO IL NOSTRO DIALOGO INTERIORE
Quindi imparate a fare attenzione ogni volta che nel vostro dialogo interiore compaiono frasi tipo: “non ce la farò mai”, “non sono all’altezza”, “sono un fallimento”, “è solo colpa mia”, “ho sbagliato tutto”, “non imparerò mai”, “non sarò mai all’altezza”, “tutto andrà a rotoli”, “rimarrò solo/a”, “non merito questo complimento-successo” ecc.
2. MONITORARE E VALUTARE I PROPRI PENSIERI
Significa giudicarne l’attendibilità e la credibilità individuando sia le prove che ne supportano la veridicità sia quelle che li disconfermano. Ad esempio l’affermazione negativa “non ho combinato niente” quando invece anche solo la metà di un lavoro è stata fatta, può essere sostituita con: “ho già fatto metà del lavoro!”. Questa semplice e ragionevole tecnica permette di ridurre il disagio emotivo contrapponendo all’irrazionalità dei pensieri automatici negativi una serie di pensieri più realistici e funzionali. Il limite di questa tecnica è che da sola non rende meno frequenti i pensieri automatici negativi inoltre dimostra che un po’ li crediamo veri, altrimenti nemmeno li prenderemmo in considerazione.
3. SOSTITUIRLI CON PENSIERI POSITIVI
Questa strategia consiste nel sostituire i pensieri negativi ogni volta che essi si presentano automaticamente, con una serie di pensieri positivi altrettanto realistici e verosimili. Occorre avere pazienza ed imparare a tollerare l’iniziale dissonanza creata dalla scarsa abitudine a pensare cose positive e vedrete che, dopo un po’ di tempo, i pensieri positivi entreranno a far parte automaticamente e senza sforzo del vostro dialogo interno quotidiano. Questo apporterà un notevole beneficio. Il limite di questa tecnica è che spesso le persone non accettano facilmente di sostituire i pensieri negativi con pensieri positivi, poiché considerano i primi di gran lunga più veri e reali dei secondi.
3) ACCETTAZIONE E DISCRIMINAZIONE DEI PENSIERI INTRUSIVI NEGATIVI
Consiste nell’osservare passivamente o ignorare i pensieri intrusivi senza attribuire loro alcun valore emotivo o di verità. Risulta una delle tecniche efficaci, insieme alla discriminazione, quando ci si trova in presenza di ruminazioni da disturbo ossessivo-compulsivo. Ma in questo caso è vivamente consigliato ricorrere all’aiuto di un esperto.


Infine teniamo sempre presente una grande verità:
NON POSSIAMO CONTROLLARE I PENSIERI NEL LORO COMPARIRE

Però, come insegna l’antica tradizione Buddista, una cosa molto saggia che possiamo fare per il nostro benessere è quella di cominciare a ri-conoscere i pensieri dannosi e negativi e lasciarli scorrere via… cercando di dare loro poca importanza, riconoscendone la natura illusoria e transitoria.

Se volete approfondire questo argomento, scrivetemi al mio indirizzo di posta elettronica.

Buona vita!

DISEASE MONGERING: UNA MALATTIA PER OGNI PILLOLA!

Mentre un tempo si inventavano medicinali contro le malattie, ora si inventano malattie per generare nuovi mercati di potenziali pazienti.
Trent’anni fa Henry Gadsen, direttore della casa farmaceutica Merck, dichiarò alla rivista Fortune: “Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”. A distanza di tre decenni il suo sogno sembra essersi avverato: le strategie di marketing delle maggiori case farmaceutiche hanno infatti oggi come target non i malati ma le persone sane. Questo processo, già evidenziato più di vent’anni fa da Ivan Illich in Nemesi Medica, sembra mirare a trasformare in un futuro prossimo tutte le persone in buona salute in altrettanti – più o meno potenziali – malati.
Ma è possibile creare “ad arte” una malattia? La storia recente ci insegna di sì, per esempio agendo sui parametri che stabiliscono il confine tra normalità e malattia (è il caso del diabete o dei livelli di colesterolo nel sangue), oppure etichettando come “patologie” condizioni e atteggiamenti che connotano piuttosto tratti di personalità (ansia, timidezza, noia), particolari fasi della vita (menopausa, vecchiaia) o semplici caratteristiche fisiche (calvizie, cellulite). quest’ottica si inserisce il fenomeno del “disease mongering”, letteralmente “commercializzazione di malattie”, la frontiera del marketing farmaceutico nell’era contemporanea[1].

Mentre un tempo si inventavano medicinali contro le malattie, ora si inventano malattie per generare nuovi mercati di potenziali pazienti.

L’economista svizzero Gianfranco Domenighetti sottolinea come il disease mongering operi attraverso strategie che agiscono su tre piani: quantitativo, temporale e qualitativo.

Sul piano quantitativo, l’azione è sui parametri che definiscono la frontiera del “patologico” per numerose condizioni medico sanitarie, quali per esempio ipertensione, ipercolesterolemia o diabete . É evidente che più si ampliano i confini che definiscono una malattia, più si espande il bacino dei potenziali pazienti e, con esso, il relativo mercato dei produttori di farmaci. Le decisioni in merito a tali confini, spesso prese da “esperti” con legami finanziari con l’industria farmaceutica e sulla base di studi da essa sponsorizzati, hanno l’effetto di trasformare da un giorno all’altro milioni di individui “soggettivamente sani” in persone “oggettivamente ammalate”. Quando, nel 2004, una commissione di esperti negli Stati Uniti ha riformulato la definizione di ipercolesterolemia, riducendo i livelli ematici ritenuti necessari per autorizzare una cura medica, il numero di persone potenzialmente suscettibili di terapia farmacologica è triplicato. É doveroso sottolineare che ben otto dei nove membri della commissione lavoravano a quel tempo anche come relatori, consulenti o ricercatori proprio per le case farmaceutiche coinvolte nella produzione di farmaci ipocolesterolemizzanti[2]. Non si tratta purtroppo di un caso isolato: uno studio pubblicato su JAMA nel 2002 ha calcolato che l’87% di coloro che redigono linee guida cliniche ha conflitti d’interesse a causa di legami con l’industria farmaceutica , e che di questi il 59% ha rapporti proprio con i produttori dei farmaci relativi alle patologie per cui è chiamato a stilare le linee guida[3].
La seconda dinamica chiamata in causa da Domenighetti opera sul piano temporale , e consiste nella promozione e nella diffusione di pratiche di screening la cui efficacia è incerta oppure non ancora dimostrata (ad esempio l’utilizzo del marker tumorale Ca 19.9 per l’identificazione precoce del cancro al pancreas). A questo proposito, Domenighetti scrive: “ Se l’abbassamento dei parametri che definiscono i confini del patologico costituisce una medicalizzazione praticamente forzata ed in parte occulta di intere fasce di popolazione, la promozione ed il successo degli screening in particolare quelli di massa dipende in grande misura dalla capacità dei promotori di convincere la popolazione a sottoporsi a questo o quel dépistage. L’operazione ha già avuto pieno successo. Infatti gli ideologi degli screening hanno fatto passare nella società civile l’irresistibile logica secondo la quale è sempre meglio diagnosticare qualsiasi patologia il più presto possibile ”[4]. Da qui l’importanza di fornire “ex ante” alla popolazione tutte le informazioni su vantaggi, rischi e incertezze delle indagini di screening, per evitare che si verifichi un’indebita induzione dei consensi da parte di chi ha interesse a ottenere alti tassi di partecipazione a queste pratiche (ovvero i produttori/venditori di kit diagnostici o strumentazioni biomediche). Numerose ricerche dimostrano infatti l’impatto che un’informazione adeguata può avere sulle scelte dei pazienti. Uno studio condotto dallo stesso Domenighetti mostra per esempio come il 60% della popolazione campione sia risultato disponibile a sottoporsi a uno screening per l’identificazione precoce, tramite il dosaggio del marker tumorale CA 19.9 , del cancro al pancreas. Quando però sono state fornite informazioni complete relative alla scarsa sensibilità del test (70% di falsi positivi), all’incidenza annuale della malattia (11 casi su 100.000 persone) e alla sua incurabilità (sopravvivenza a 5 anni: 3%), tale disponibilità è scesa al 13,5%[5].
Una terza e ultima dinamica, che agisce sul piano qualitativo , è rappresentata dalla trasformazione in condizioni medico-sanitarie di situazioni che dovrebbero far parte della normalità della condizione umana . Le persone vengono persuase che problemi che prima accettavano come un semplice inconveniente, o comunque come “parte della vita”, debbano ora destare preoccupazione e siano degni di un intervento a livello medico. Il fenomeno è tanto diffuso che la prestigiosa rivista BMJ ha pubblicato, nel 2002, una “Classificazione internazionale delle non -malattie”, contenente più di 200 condizioni ritenute a torto come patologiche. Tra queste figurano la calvizie, la timidezza (ribattezzata come “disturbo d’ansia sociale”), la cellulite[6].
Le strategie di allargamento del mercato farmaceutico qui delineate si servono naturalmente di pubblicità a tappeto e di abili “campagne di sensibilizzazione”. Vince Parry, professionista del marketing , ha rivelato in un articolo intitolato “L’arte di inventare malattie” di collaborare con le case farmaceutiche per “ creare nuove idee su disturbi e malattie e un nuovo modo di pensare alle cose per massimizzare le vendite dei farmaci ”[7]. Con sconcertante franchezza, Parry ha affermato che le case farmaceutiche oggi promuovono non solo i propri farmaci, ma anche i disturbi necessari a creare il mercato per i propri prodotti . In molti casi la formula è la medesima, e un articolo pubblicato su Lancet ha riassunto in tre le tappe da seguire nella campagna promozionale di un nuovo prodotto: richiamare l’attenzione della popolazione bersaglio su una patologia, evidenziando le carenze dei trattamenti finora disponibili; informare la popolazione, già sensibilizzata, che esiste un nuovo medicinale, illustrandone gli straordinari vantaggi; indurre i medici a prescrivere il nuovo farmaco, e la popolazione a richiederlo[8].

Come illustrato, la medicalizzazione della società nel mondo contemporaneo è sempre più spinta da sofisticati e diffusi meccanismi di promozione industriale. Mentre un tempo si inventavano medicinali contro le malattie, ora si inventano malattie per generare nuovi mercati di potenziali pazienti. Il messaggio complementare che viene divulgato è che c’è una pillola per ogni malattia (comprendendo in questo concetto la patologia in sé, il rischio di ammalarsi e il sentirsi ammalato), ma anche una malattia per ogni pillola.

Il disease mongering è una pratica insidiosa, spesso invisibile, che richiede seri provvedimenti in quanto comporta il rischio di scelte terapeutiche inopportune, malattie iatrogene e sprechi che minacciano la sostenibilità economica dei nostri sistemi sanitari e sottraggono risorse utili alla cura e prevenzione di patologie ben più gravi e reali. A un livello più profondo, il disease mongering contribuisce a modificare il modo in cui vengono percepite la salute e la malattia, promuovendo la medicalizzazione della vita e focalizzando l’attenzione esclusivamente su soluzioni farmacologiche (o tecnologiche in senso lato) che – dall’esterno – rimuovano i problemi, anziché favorire una comprensione più ampia delle dinamiche che ruotano intorno alla salute, nelle loro necessarie implicazioni biologiche, psicologiche e sociali.

Bibliografia

Moynihan R, Cassels A. Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti. Nuovi Mondi Media, 2005.
Lenzer J. US consumer body calls for review of cholesterol guidelines. BMJ 2004; 329:759.
Choudhry N. Relationship between authors of clinical practice guidelines and the pharmaceutical industry. JAMA 2002; 287: 612-617.
Domenighetti G. Dall’induzione alla creazione della domanda: quali implicazioni per i servizi sanitari nazionali. Panorama della sanità 2003; 41: 12-15.
Domenighetti G, Grilli R, Maggi JR. Does provision of an evidence based information change public willingness to accept screening test? Health Expectations 2000; 3: 145-150.
Smith R. In search of non disease. BMJ 2002; 324: 883-885.
Parry V. The art of branding a condition. Medical Marketing & Media, London, 2003: 43-49.
Collier J, Iheanacho I. The pharmaceutical industry as an informant. Lancet 2002; 360: 1405-9

THE NET OF MEMORIES

The smell of the ground, soaked with rain, suddenly reminded me a memory of many years ago; I was about 8 or 10 years old, I was spending my holidays in our country farmhouse and it had just stopped raining…I was happy, picking some wild roses which grew along the drive, to make a beautiful little bouquet for my mother.
Then I got a sudden lump in my throat: I exactly felt as if I was a child again, standing still there on the alley, picking wild roses from the bushes, in my little rubber boots splashing in the puddles, with a hurt full of joy and excitement for being free to go out again, after the storm confinement.

Slowly, unexpected tears fell down my eyes and I got overwhelmed by a belated gloominess, as gentle as a caress, as painful as only certain happy memories can be, their way.

Amazing the soul which can still be moved to tears ... and deeply feel nostalgia.
We all live in a world which constantly forces us to quickness, forgetfulness, shallowness and unconcern. The apologia of “throwaway – way - of - life”: throwaway-people, throwaway-affairs, throwaway-friendships, throwaway-interests.

Welcome back nostalgia. Long life to this slow, viscous, sweet forgotten feeling, arising from going deeper inside ourselves, down into the heart-time, a time with non end and no beginning made from lights, colors, scents…instants…images.
We must preserve with loving care and tenderness our capacity to live this slowness, the eternal essence of every farewell, of every gone-by moment of our lives.

This silent and inner space inside us is a place where past and future no longer exist and everything seems to be out of time, all existing at the same time.

It’s a no man’s land where everything is always present, being everything equally alive and true, where it’s all still happening.
A trick of the soul… which lives in an eternal dimension. A taste of eternity which makes us so alive, giving us the sense of coherence and consistency in a life which no longer flows along a straight line, but in a plurality of parallel and overlapping spirals.

It’s like a net, made of all the moments of our life, all equally present and actual, all reflecting in each other in an endless hall of mirrors which returns to us the image, wonderfully unique and coherent, of what we are.

Pascal once wrote: “All of our reasoning ends in surrender to feeling”. This is the strength of nostalgia: it has no time, no place, no reason. Just senses, images.