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domenica 26 febbraio 2012

COME CONVINCERE QUALCUNO A FARE QUELLO CHE VUOI

 Traduzione a cura della Dott.ssa Annalisa Barbier



Se sei mai stato convinto da un venditore di desiderare  davvero un prodotto, se hai fatto qualcosa troppo istintivamente o fatto scelte che sembravano completamente distanti dal tuo carattere, allora vu9ol dire che qualcuno ha “piantato un’idea nella tua mente”.  Ecco come si fa.
Prima di cominciare, vale la pena ricordare che l’atto di piantare un’idea nella mente di qualcuno  senza che questi ne sia consapevole è di fatto una forma di MANIPOLAZIONE. Non siamo qui per giudicare, ma questo è esattamente il genere di cose che di solito la gente considera sbagliate, e probabilmente non dovresti proprio mettere in pratica ciò che è scritto di seguito. Piuttosto, fai tesoro di queste informazioni per stare attento.
Se hai visto il film “Inception”, potresti pensare che piantare un’idea nella mente di qualcuno sia qualcosa di molto difficile da fare. Non lo è. Anzi, è incredibilmente semplice da fare e difficile da evitare. Andiamo a vedere alcuni dei modi in cui funziona.
LA PSICOLOGIA INVERSA FUNZIONA DAVVERO
La PSICOLOGIA INVERSA è divenuta ormai un cliché. Credo che abbia raggiunto il suo apice nel 1995 con l’uscita del film “Jumanji” (se lo hai visto e te lo ricordi, sai di cosa sto parlando).  Il problema è che la maggior parte della gente guarda alla psicologia inversa in maniera troppo semplicistica.
Per esempio,  provare a convincere qualcuno a non fare paracadutismo dicendo “Non mi interessa se hai intenzione di rischiare la vita saltando giù da un aereo”, non è psicologia inversa: è comunicazione  passivo-aggressiva. Quindi lasciamoci tutto questo alle spalle e ricominciamo da zero.
Se hai intenzione di usare l’inversione logica a tuo favore, devi necessariamente essere ingegnoso e perspicace. Immaginiamo che vuoi che il tuo compagno di stanza lavi i piatti perché è il suo turno;
potresti sempre dire: “Ti dispiacerebbe lavare i piatti? Oggi tocca a te!”
Ma in questo caso facciamo conto che la persona  in questione sia pigra e che questo approccio gentile non serva a molto. Che si fa?
Si dice qualcosa del genere: “Senti ho deciso che no laverò più i piatti e ho intenzione di comprare piatti e bicchieri di carta. Va bene per te? Se mi dai i soldi posso prenderne qualcuno anche per te”
Ciò che questa frase rende possibile, è presentare l’alternativa di non lavare i piatti senza trasmettere alcuna colpa. Piuttosto che sentirsi accusata, l’altra persona viene lasciata libera di considerare l’alternativa di fare o non fare una cosa. Questo è il motivo per cui la psicologia inversa funziona.

NON PARLARE MAI DIRETTAMENTE DI UN’IDEA: GIRACI INTORNO
Indurre qualcuno a fare qualcosa può essere difficile se sai che non vuole farla, così potresti avere bisogno di fargli credere che sia una sua idea. Si tratta di un espediente comune, soprattutto tra i venditori,  ma è più facile a dirsi che a farsi. Devi considerare il fatto di piantare un’idea nella mente di un altro come se stessi risolvendo un mistero.
Lentamente ma con tenacia e fermezza, offri alla persona una serie di tracce finché l’ovvia conclusione del ragionamento  non sarà quella che vuoi tu; la chiave è essere pazienti, perché se vai troppo di corsa la tua strategia  appare fin troppo ovvia. Mentre invece se vai piano, l’idea (la TUA idea) prenderà lentamente e spontaneamente forma nella mente dell’altra persona.
Facciamo conto che vuoi convincere un tuo amico a mangiare cibo più sano. Si tratta di una buona abitudine, ma hai un nemico duro da battere: il tuo amico è letteralmente dipendente dal pollo fritto   e ha bisogno di una abbondante porzione di pollo fritto almeno una volta al giorno! Preoccupato per lui, gli dirai di mangiare meglio, e anche se lui penserà che si tratta di una buona idea non farà mai niente o si limiterà a chiederti di smettere di seccarlo.
Per rendersi davvero conto di cosa sta  facendo al suo corpo mangiando pollo fritto, avrà bisogno di una specie di rivelazione e, per far sì che questa avvenga, devi parlare e parlare intorno all’argomento ma devi farlo con astuzia e acume, altrimenti sarà fin troppo chiaro dove vuoi arrivare.
Non puoi semplicemente dire: “Oggi ho letto che in Arkansas almeno 10 milioni di bambini l’anno muoiono a causa del pollo fritto” perché non solo si tratta di sciocchezze, ma mostra con troppa chiarezza il motivo per cui lo stai dicendo. Se il tuo obiettivo è il pollo, devi fare in modo che questo appaia come qualcosa di disgustoso e scarsamente attraente.
La prossima volta che starnutisci fai una battuta sull’influenza aviaria. Quando siete al ristorante insieme e stai ordinando, esprimi verbalmente la tua intenzione di ordinare qualcosa che non sia pollo perché hai appena saputo che il pollo è trattato e conservato nei ristoranti.
Quando hai detto abbastanza di queste cose – sempre rispettando i tempi giusti tra una affermazione e l’altra e senza correre- puoi iniziare ad essere un pochino più deciso smettendo di andare con il tuo amico a mangiare pollo fritto.
Puoi anche attivamente decidere di fare qualcosa per la tua stessa salute e dire al tuo amico: 1) Cosa stai facendo e 2) quanto meglio ti senti. In capo ad alcune settimane, se il tuo amico non ha ancora deciso di riconsiderare la sua posizione in merito al pollo fritto, puoi farne di nuovo menzione e vedrai che il tuo amico si rivelerà più disponibile ed aperto ad una discussione costruttiva.
SVENDERE
Svendere è probabilmente uno dei più efficaci e semplici metodi per piantare un’idea nella testa della gente. È una versione meno aggressiva della psicologia inversa. Facciamo finta che voglia vendere un hard drive a qualcuno; possono acquistare un 250GB, 500GB, o 1TB hard drive. Tu vuoi vendere l’ hard drive  più grande perché costa di più e ti fa guadagnare di più. Il tuo cliente invece vuole spendere il meno possibile. Non andrai molto lontano dicendogli che dovrebbe spendere di più per il suo hard drive, perché questo è esattamente ciò che il tuo cliente NON  VUOLE  fare!
Piuttosto cerca di tenere conto di ciò che conta per  lui: l’opzione più economica.
Ecco un esempio del dialogo:
Cliente: “mi puoi dire qualcosa di più di questo hard drive da 250GB? Voglio essere sicuro che vada bene per me”
Tu: “che tipo di computer hai e per cosa lo vuoi usare maggiormente?”
Cliente: “possiedo un portatile Windows che ha 2 anni e mi serve per archiviare tutte le mie foto. Ho circa 30GB di foto”
Tu: “250GB è decisamente più che abbastanza per archiviare le tue foto! Finché non avrai altre cose da archiviare dovrebbe andare bene per le tue necessità”
Quest’ultima affermazione instilla il dubbio nel  cliente; potresti anche aggiungere: “avresti bisogno di un drive più grande solo se volessi essere assolutamente sicuro di avere abbastanza spazio per archiviare I tuoi file in futuro”, ma potresti sembrare un po’ troppo pressante.
Il punto è che se dai l’idea di avere a cuore i loro interessi, può essere facile convincerli ad acquistare qualcosa di più.

Di nuovo, vorrei ricordarvi che indurre un’idea nella mente degli altri non è sempre una bella cosa da fare. Limitatevi piuttosto ad usare le informazioni che avete letto per rendervi conto di quando qualcuno lo sta facendo con voi.

venerdì 6 gennaio 2012

LA SAGGEZZA DEI SINTOMI: LA PELLE

Nell'ambito della Medicina dell'Anima (Eric Rolf), non esistono i concetti di "salute" e "malattia" come elementi concreti fine a se stessi. La sola vera malattia - radice dei malesseri fisici - è quella che Eric Rolf definisce "sordità spirituale" e cioè l'incapacità di ascoltare i messaggi e la voce della Vita, che ci parla affinché possiamo raggiungere la pienezza spirituale e la nostra naturale evoluzione in questa vita.


Tali parole sono concetti che indicano il livello di armonia o disarmonia del corpo-mente e l'entità del suo distanziamento dalla condizione naturale di equilibrio e quindi di "salute" e benessere. Ogni scostamento da tale condizione porta, nel lungo termine, alla nascita di segnali o "sintomi" che diverranno sempre più frequenti o intensi finché non si impara ad ascoltarne la voce ed il messaggio profondo e quindi, non si impara a modificare le circostanze che li hanno creati.
Il sintomo è un sussurro, che si fa sempre più forte se noi continuiamo ad ignorarne il messaggio.
Oggi parlerò delle patologie legate ad un organo fondamentale e meraviglioso, che limita e definisce il nostro corpo, permettendo allo stesso tempo uno scambio costante tra "interno" ed "esterno": la nostra PELLE.
In base agli insegnamento della Medicina dell'Anima di Eric Rolf, la pelle rappresenta la quantità di spazio che dedichiamo a noi stessi nella nostra vita. la sua funzione è quella di far traspirare e comunicare l'interno del corpo con l'esterno del mondo: è una specie di raffineria, di fattore purificante alchemico. i problemi della pelle sono la metafora delle nostre difficoltà nel relazionarci con l'esterno, nell'aprirci agli altri, nel gestire la nostra rabbia ed aggressività Sono dinamiche legate al senso di identità, di separazione-fusione, di difesa. A seconda della parte del corpo che viene colpita, le patologie della pelle rappresentano un segnale diverso.
HERPES: rappresenta la percezione di uno strappo emotivo interiore, un trauma emotivo, la mancanza di pace interiore dovuta alla mancanza di connessione, accordo ed integrazione con glie elementi emozionali e i desideri interiori. Frequentemente indica la tendenza ad avere una visione negativa e pessimistica del mondo.
PSORIASI: indica la presenza nel soggetto di una bassa autostima legata alla tendenza al giudizio negativo di sé, ed alla convinzione di non essere in grado di "esporsi" al mondo e all'altro nella propria interezza. Mancanza di coraggio per agire nel mondo. E' una sorta di corazza, di indurimento che funge da protezione.
PRURITO: il modo in cui una parte del corpo richiama l'attenzione su di sé e sul proprio simbolismo. Intolleranza, autocritica, incapacità di accettare eventi e comportamenti propri e altrui e di lasciarli "entrare" dentro di sé, sotto la propria pelle. Che rappresenta anche in questo caso una sorta di "scudo" di isolamento dall'esterno, nel timore che lo scambio ed il contatto siano rischiosi per la propria integrità.
Per saperne di più ti consiglio la lettura di questo libro: "Iniziazione alla medicina dell'anima" di Eric Rolf, Edizioni Mediterranee

giovedì 5 gennaio 2012

LA SAGGEZZA DEI SINTOMI: UTERO E OVAIE

Nell'ambito della MEDICINA DELL'ANIMA (vedi Eric Rolf), salute e benessere sono considerate una condizione naturale della persona nella sua interezza (inclusa la dimensione spirituale), ed i sintomi rappresentano il messaggio che la vita ci sta comunicando affinché possiamo comprendere che dobbiamo cambiare.
Il cambiamento dovrà essere un cambiamento nelle nostre abitudini di pensiero e di comportamento e dovrà comprendere la rivisitazione profonda della nostra intima attitudine verso l'universo, gli altri e noi stessi.
La Medicina dell'Anima è un potente ponte verso una nuova consapevolezza ed una nuova considerazione dell'Universo; attraverso la consapevolezza della malattia scopriamo di essere i creatori del nostro stato fisico e possiamo ampliare il nostro orizzonte quel tanto necessario a permetterci di dare un senso profondo e creativo alle manifestazioni di malessere che ci riguardano,inserendole nel contesto ampio e coerente della nostra vita.
In questa occasione vorrei esporre il significato che la Medicina dell'Anima attribuisce alle patologie legate a due importanti organi genitali femminili: l'utero e le ovaie.
OVAIE
Sono il centro della creatività femminile e simboleggiano la fertilità e la capacità di lasciarsi fluire con il ciclo della vita. Le patologie delle ovaie rappresentano metaforicamente due tipi di problematiche: 

  • difficoltà legate alla creatività, alla sensazione di aver fatto sforzi enormi nella direzione sbagliata, senza ottenere alcun risultato. Ci insegnano a VOLGERE LA NOSTRA ATTENZIONE CREATIVA ed i nostri sforzi in un'altra direzione, lasciando andare l'attaccamento per i precedenti obiettivi. Si tratta di identificare questo nuovo canale per aprirsi ad esso. 
  • volontà e tendenza a trattenere e reprimere il flusso naturale e spontaneo della vita e degli eventi nel tentativo di trattenere forzatamente e restare attaccati a qualcosa, o  qualcuno.
La frase da ricordare è: " CIO CHE TRATTIENI FUORI CRESCE DENTRO"

UTERO
Nel caso dell'utero, la Medicina dell'Anima fa riferimento alla presenza di difficoltà e fatica nell'accettare l'altro in quanto specchio di noi stessi. Difficoltà nell'accettazione amorevole e compassionevole di noi stessi e quindi di riflesso, dell'altro. Inoltre, indica la tendenza a concentrarsi sull'aspetto esteriore e concreto degli altri senza poterne comprendere l'essenza profonda. I problemi legati all'utero - area dà la vita, accetta ed accoglie la crescita -  sono la metafora dell'incapacità di accettare alcune parti di sè e del conflitto di identità.
La frase da ricordare è: "LA VITA VA PERCEPITA, NON PENSATA".

Se volete saperne di più leggete questo semplice ed illuminante libro: 
"Iniziazione alla medicina dell'anima" di Eric Rolf, Edizioni Mediteranee

martedì 3 gennaio 2012

IL SENSO DELL'AMICIZIA

"Un albero che è stato trapiantato no crollerà, anche in presenza di forti venti, se vi è un solido palo che lo sostiene.
Ma anche un albero cresciuto nella sua sede naturale può crollare se le sue radici sono deboli.
Una persona debole non cadrà se coloro che la sostengono sono forti, ma una persona di notevole forza, se si trova sola, potrebbe cadere lungo un sentiero accidentato"


Dal Gosho "I Tre Maestri del Tripitaka pregano per la pioggia" (Racoclta degli scritti di N. Daishonin, Vol. 1 - Pag. 531)

lunedì 2 gennaio 2012

FACEBOOK: SOCIAL REVOLUTION O SOCIAL ISOLATION?

Scrivere un contributo sulla presunta dannosità o utilità dei social network nei panni di Psicologo Clinico non è semplice; perlomeno non lo è se si vuole evitare di cadere nei soliti luoghi comuni triti e ritriti, che agitano lo spettro della solitudine e della alienazione social-emozionale ad ogni nuova schermata, colpo di click, messaggio ci chat. 
Perciò eccomi qui a parlare di questa nuova realtà (ormai nemmeno più così nuova) che tutti ci coinvolge, se non altro nel ruolo di giudici o spettatori: parlando un po’ da psicologo, un po’ da utente, un po’ da curioso osservatore.
Il fenomeno del social network è uno di quelli che, a causa dell’immenso potenziale e potere agiti sulla massa di utenti, non può vederci – soltanto pigri osservatori - in un atteggiamento di neutrale imparzialità. Se non altro perché in qualche modo ci coinvolge, nostro malgrado: “ci sei su facebook?” “no, non ancora almeno…” “ah… e perché non ci sei?”
… eh già… perché non ci sei? 
Quindi ci pensi. Quindi ti devi fare un’idea, almeno per decidere se esserci o no. Quindi devi decidere. Anche solo di osservare, rimandando la fatidica scelta a tempi di maggior chiarezza intellettual-filosofico-sociologica. Semmai arriverà.
E quando arriva non dura a lungo. Perché conosco molte, molte persone che hanno saputo stoicamente ed energicamente – adducendo ragioni coerenti e solide -  tenere il punto di non-partecipazione al delirio di condivisione globale fino all’ultimo e poi… e poi hanno ceduto: “ma ci stanno tutti…” oppure “vabbè in fondo perché no?” oppure ancora “mi era venuta voglia anche a me di cercare il tipo con cui sono stata fidanzata a 8 anni, aveva degli occhi bellissimi”… e  così via.
Le spiegazioni sono le più diverse, soggettive, fantastiche se vogliamo ma possiedono un comune denominatore: la curiosità, avviluppata al bisogno di condivisione. 
E, se mi permettete, la voyeuristica curiosità ed il rinnovato desiderio di condivisione del popolo di FB ne fanno un branco di animali estremamente sociali e non certo un pallido e solitario stuolo di esseri crepuscolari  dagli occhi cerchiati in cerca di avventure inquietanti! Ok ok… ci saranno anche gli alienati, i feticisti dell’immagine e dell’aforisma, i cercatori di avventure, i coltivatori di amicizie virtuali, i sociopatici i maniaci e gli eterni mascherati tra di loro; (ma ditemi, nel mondo esterno non ci sono?) e io comunque, ci vedo ancora desiderio di socialità, di appartenenza e di condivisione.
Eh si perché la gente di FB condivide, e condivide tutto: stati d’animo, amicizie, foto di momenti importanti o meno, dei propri amatissimi animali domestici, condivide le proprie passioni e i propri interessi. Anche i più inusuali. Perché su FB c’è posto per tutto, e c’è posto per tutti. 
Io lo trovo consolatorio, liberale, unificante.
E allora ben venga la chat notturna di quando non riesci a prendere sonno; benedetta la nuova amicizia che ti incuriosisce e ti ispira simpatia; benvenuti tutti gli antichi fidanzati, i compagni della scuola elementare, le vecchie amiche perse di vista, i colleghi spariti in un’altra città, i parenti lontani, quel bel tipo che ti piace col bicipite gonfio e chi più ne ha più ne metta.
Voglio essere provocatoria: io questa la chiamo ricchezza di stimoli e di possibilità. 
La chiamo condivisione a basso rischio, socialità a costo ridotto. 
Nulla a che vedere con la socializzazione nel mondo fisico ed il conseguente rapporto vis-a-vis dove l’odore, la gestualità, l’espressione del volto la fanno da padroni e dove ci si mette in gioco in maniera completa, ardita. No; qui si tratta di una nuova forma di socializzazione alla quale ci hanno condotto i nostri vecchi bisogni (condivisione, curiosità, socializzazione, appartenenza e riconoscimento) uniti alle nuove possibilità tecnologiche. Come dire: lo stesso fine servito da un mezzo diverso. E da quando il mondo è mondo i fini di un essere umano non sono cambiati poi molto…
Si tratta ora di impararne le diverse regole, conoscerne i differenti limiti, misurare le nostre aspettative sulla base di una modalità interazionale che sia integrativa e non sostitutiva.
Aric Sigman è uno psicologo che da anni studia gli effetti che la vita legata ai Social Network crea in utenti particolarmente esposti; in uno studio pubblicato su Biologist sembra che, non avere contatti reali nella vita di tutti i giorni - preferendo i contatti virtuali - possa comportare danni al nostro organismo. Innanzitutto alterando il modo in cui i geni lavorano, poi interferendo con le risposte immunitarie, i livelli ematici di ormoni, la funzionalità delle arterie e infine influenzando le nostre prestazioni intellettive. Soggetti affetti da dipendenza dal Web (parliamo quindi di persone non soltanto predisposte ma affette da una patologia) tendono a risentire particolarmente dell’isolamento indotto dall’uso continuativo dei social network, poiché finiscono con il preferire le amicizie ed i contatti virtuali a quelli reali, isolandosi in tal modo dal mondo fatto di mani, pelle, odori, voce e sguardi che continua ad esistere al di là della tastiera. 
Come vedete i danni indicati sono a carico degli utenti affetti da patologie di dipendenza dal web, che non ha nulla a che vedere con l’uso di buon senso degli strumenti di comunicazione virtuale. Non ci verrà un ictus se chattiamo un’ora con uno che ci piace; non inizieremo a soffrire improvvisamente di devastanti emicranie se pubblichiamo le nostre foto su FB; il nostro livello ematico di ormoni non si altererà se andiamo a curiosare sulle bacheche altrui…! 
A patto che non lo si faccia per la maggior parte del tempo!
La dipendenza dal web è una patologia, e come professionista non me la sento di generalizzare al resto degli utenti i risultati riguardanti tale categoria.
Resto profondamente convinta, ad oggi, che i social network svolgano egregiamente la loro funzione di aggregatori sociali, strumenti di condivisione e partecipazione nella misura in cui li si considera appunto una INTEGRAZIONE e non una SOSTITUZIONE delle nostre peculiari modalità internazionali, che sono e resteranno sempre fondamentali per l’equilibrio della nostra psiche e della nostra salute.

martedì 27 dicembre 2011

IL BUDDA DI NATALE

Le feste natalizie si stanno allontanando lentamente e per molti, oggi probabilmente è un giorno lavorativo come tanti. 
Eppure qualcosa è diverso...: saranno le feste appena trascorse, lo spirito del Natale che ancora ci scalda le spalle, l'attesa del nuovo anno che sta per iniziare, con la sua corte di aspettative, sogni e desideri...ma il mio spirito oggi è ancora vibrante e profondamente emozionato.

Ho sempre pensato che la magia del Natale risiedesse nel potente messaggio di speranza, rinnovamento e coraggio che porta con sè ed oggi, a distanza di molti anni dalla mia fanciullezza e di alcuni anni dalla decisione di abbracciare la filosofia buddista, sono ancor più fermamente convinta di ciò.
Mi piacerebbe azzardare un parallelismo filosofico e religioso- mi si conceda di usare tale termine in maniera estesa - che unisca in un comune senso di bellezza e amore, il messaggio salvifico del Natale Cristiano e gli insegnamenti di fede e compassione del Buddismo.
Riflettevo proprio questa mattina sul significato di essere buddisti nella vita di tutti i giorni: qui non si tratta di meditare su complesse filosofie esotiche,nè di impegnativi sacrifici o rinunce inopportune. No. 
Si tratta piuttosto di vivere la propria vita tutti i giorni, ora dopo ora, momento dopo momento con la presenza e la consapevolezza della scelta costante che siamo chiamati a fare, di nutrire la nostra mente con pensieri  ed azioni costruttive, anche quando le circostanze lo rendono difficile.
Noi siamo i nostri pensieri: siamo la verità e le emozioni che esprimono le nostre parole e le nostre azioni.
NOI SIAMO LA SOMMA DEI NOSTRI PENSIERI E QUINDI DELLE NOSTRE PAROLE E QUINDI ANCORA, DELLE NOSTRE AZIONI. DI TUTTE LE NOSTRE AZIONI.
Noi siamo questo: non ciò che vorremo essere ma esattamente ciò che scegliamo di essere, attraverso i pensieri che nutriamo, le parole che diciamo e i gesti che pratichiamo.
Il Buddismo ci insegna la compassione, e ci esorta a praticare l'amore, il rispetto e la profonda considerazione verso la vita in ogni attimo della nostra giornata; e ogni giornata e costituita di numerosissimi istanti ognuno dei quali richiede una scelta consapevole. La vita in ogni sua forma e manifestazione è degna di amore e rispetto: l'altro, noi stessi, gli animali, l'universo intero.
Non è questo ciò che insegnava Gesù? Non forse la compassione e l'amore? Non forse il coraggio e la fede di credere in qualcosa di migliore e di vivere la propria vita in onore di ciò?
L'accezione buddista del termine "compassione" è forse più ampia di quella classicamente insegnata dal Cristianesimo ma credo che il messaggio di fondo sia esattamente lo stesso: il termine "compassione, nelle lingue occidentali viene usato per indicare sentimenti come la compartecipazione alle sofferenze altrui, l'empatia, la pietà o a volte la commiserazione. La compassione buddista ha un significato più ampio che tocca il senso della vera e profonda amicizia, della sim-patia per il prossimo e del puro amore, uniti alla preoccupazione sincera per le sofferenze altrui e al desiderio di alleviarle. Nel Buddismo  la parola "compassione" contiene il significato di "dare la felicità" e di "togliere la sofferenza a tutti gli esseri viventi".
Pensare positivamente significa anche esprimere compassione per l'altro e verso noi stessi; significa onorare la vita in tutte le sue manifestazioni ed esprimere una fede ferma ed incrollabile nella sacralità e nella bellezza intrinseca di ogni essere umano e di ogni essere vivente. 
IL BUDDA E COLUI CHE SCEGLIE SEMPRE IL PENSIERO MIGLIORE. LA PAROLA PIÙ INCORAGGIANTE. L'AZIONE PIÙ COMPASSIONEVOLE. LA VIA PIÙ COSTRUTTIVA.
Proprio come un bravo Cristiano.
Namastè